Trovare clienti da copywriter freelance. (The Copylight Zone #45)

Ti svelo l’unico segreto per trovare clienti da copywriter freelance: scrivi bene i testi che usi per cercarli. Tutto qui? Sì, tutto qui.

Se le tue presentazioni non funzionano, riscrivile. Se ti scoraggi perché continuano a non funzionare, forse non sei tagliato per questo lavoro.

Puoi lasciar perdere e dedicarti ad altro, oppure continuare a ripensare e riscrivere finché non otterrai dei riscontri. Senza mai smettere. Io negli anni ho scritto e riscritto centinaia di mie presentazioni, ma anche quella più efficace che ho creato finora non mi soddisfa. Si può sempre fare meglio, non è un progetto di comunicazione da chiudere ma da aggiornare e tenere sempre aperto. E no, nessun manuale di copywriting può insegnarti delle formulette standard per risparmiarti questa fatica.

Perché non esistono. Ogni copywriter, così come ogni cliente, è una persona. Le persone sono tutte diverse, tutte irrazionali, tutte complesse. Come presentare al meglio te stesso, ciò che ti differenzia e ti qualifica come copywriter in mezzo a milioni di altri copywriter, puoi capirlo e descriverlo solo tu. È l’essenza di questo lavoro, capire le unicità.

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Copywriting e deontologia professionale. (The Copylight Zone #44)

Una questione su cui mi interrogo spesso, senza avere ancora una risposta definitiva, è questa: dal punto di vista deontologico, un copywriter dovrebbe essere più simile a un giornalista, oppure a un avvocato?

Il giornalista firma ciò che scrive. Anche se c’è un direttore responsabile sopra di lui, si prende in prima persona la responsabilità delle proprie idee. Non può lavorare per una testata di cui non condivide la linea editoriale.

Un avvocato, invece, non deve condividere la condotta del suo assistito. Lo stato di diritto si fonda sul principio che chiunque, anche i rei confessi di gravi crimini, abbiano diritto a una difesa in tribunale. Gli avvocati che difendono i criminali sono necessari a una società civile esattamente come quelli che difendono le vittime, e ciò non significa che stiano dalla parte del crimine.

Riguardo ai copywriter, le aziende sono gestite da persone con una certa visione del mondo. Dovrei lavorare solo per persone che abbiano valori e idee che coincidono con i miei, oppure accettare il fatto che – contrariamente ai giornalisti – non devo per forza condividere i messaggi che mi verrà detto di veicolare in modo creativo, dato che la mia firma non comparirà?

Alcuni copywriter la pensano nel primo modo, altri nel secondo. Io, ripeto, non ho un’opinione definitiva. Ma, in generale, più tendente al secondo. Ho accettato di fare anche lavori per cui ho dovuto scrivere cose con le quali, personalmente, ero in totale disaccordo? Sì, lo confesso. Non solo perché i soldi per spesa, affitto e bollette servono tutti i mesi, e non sempre si ha la possibilità di rifiutare certi progetti, ma anche perché appunto – mi sono detto – basta avere la consapevolezza dell’avvocato.

Come professionista, stai fornendo un servizio che il tuo cliente avrebbe, in ogni caso, il diritto di ottenere da un altro. E’ ininfluente la tua opinione personale sul cliente, su ciò che produce e su ciò che comunica.

Forse.

“Non scrivere mai in modo sciatto”. (The Copylight Zone #43)

Una cosa che mi disse la mia professoressa di italiano al liceo, che nella mia vita è rimasta la persona più formativa per quanto riguarda la scrittura, è: “non scrivere mai in modo sciatto. Mai”.

E’ l’unica regola che nella mia professione di copywriter non ho mai trasgredito. Anche quando mi capita di dover rispondere di fretta a una mail sullo smartphone, mentre sono al supermercato o per strada, e ho tempo di scrivere solo poche parole in pochi secondi, devono essere poche parole precise, corrette, significative. Sempre.

La qualità di scrittura della brochure o del sito più noiosi, per me, deve essere la stessa della head o dello script più stimolanti. Sempre. Io sono consapevole che, come copywriter, ho un talento molto più limitato di altri, un portfolio molto più modesto. Ma so anche che, specie tra i copywriter più bravi di me, questa disciplina assoluta della scrittura è molto rara. E questo mi differenzia.

Non mi è mai importato nulla di premi, grossi compensi, complimenti, qualifiche altisonanti. Per me, il mio lavoro è sempre stato e sempre sarà tutto racchiuso in questa disciplina di “non scrivere mai in modo sciatto. Mai”. E’ il mio bushido.

La prima cosa che direi a un aspirante copywriter. (The Copylight Zone #42)

La prima cosa che direi a un aspirante copywriter non è di allenare la capacità di scrittura. Quella è la seconda. La prima, ancor più essenziale, è la capacità di non prendersela.

Alla scuola dell’obbligo, disgraziatamente, a tutti viene insegnato a leggere e scrivere. Perciò chiunque, nessuno escluso, si crede un copywriter. E chi ha il potere di sbatterti in faccia che è un copywriter improvvisato migliore di te, che magari lo fai come professione esclusiva da anni, lo farà.

Sergio Marchionne, quando si trattò di realizzare lo spot per il lancio della nuova Fiat 500, scrisse il testo di suo pugno. Era retorico, banale, pomposo e semi incomprensibile al limite del ridicolo. Non ho voglia di rivederlo e non metto il link: se non ve lo ricordate, cercatelo.

Perché lo fece, perché umiliò così l’agenzia creativa e il copywriter che erano pagati e, al contrario di lui, avevano le competenze per realizzare uno spot più degno del lancio della nuova 500? Perché poteva.

Così come il mediocre direttore creativo o il mediocre copywriter senior boccerà le proposte del copy junior più brillante di lui solo perché può. Oppure le farà uscire a nome suo. Perché ha il potere di farlo, e chi ha il potere lo esercita. Sempre.

Quindi, per un copywriter, è vitale imparare a non prendersela mai. Devi accettare che tutto ciò che scrivi potrà essere distrutto, modificato, travisato, banalizzato, rubato e stuprato in tutti i modi possibili. Tutti i giorni e, almeno potenzialmente, su tutti i tuoi lavori.

Se pensi che il copywriting sia un modo per esprimere te stesso e la tua creatività, dopo tre mesi avrai già orrore di questo lavoro. Per quello piuttosto scrivi poesie, racconti, romanzi, post sui social. Cose che firmi tu, e che gli altri al limite potranno solo commentare. Ma senza poter distruggere, modificare o appropriarsi dei tuoi scritti.

Nessun testo di copywriting, al contrario, è tuo. È solo una torta che prepari per gli altri. Talvolta verrà apprezzata e mangiata, talvolta rovinata con decorazioni pacchiane, talvolta buttata nell’umido. Non ti deve interessare. Il tuo lavoro è solo prepararla al meglio delle tue capacità. Il destino della torta, una volta che esce dal tuo negozio, deve esserti del tutto indifferente.

Il corso di copywriting che non esiste. (The Copylight Zone #41)

Se fossi nei panni di un aspirante copywriter freelance, vorrei seguire un corso di questo genere: un tizio che fa questa attività da molti anni e ti spiega, nel concreto, come ha trovato i suoi clienti, come ha quotato e realizzato i suoi progetti (che ti mostra e ti spiega), quali problemi – burocratici, fiscali, organizzativi, tecnici, creativi, relazionali, di ogni tipo – ha avuto e quali soluzioni ha trovato per risolverli.

Senza nessuna fuffa teorica su come scrivere titoli, email e landing page – tutte cose per cui basta una ricerca con Google per trovare vagonate di risorse e consigli gratis. No, solo la narrazione delle sue esperienze professionali reali e la spiegazione di come e perché sono stati fatti i suoi progetti reali. Che puoi vedere nel suo portfolio online prima di iscriverti al corso. Come un calzolaio che ti insegna a fare una scarpa mostrandoti una scarpa fatta da lui e spiegandoti tutti i vari passaggi per realizzarla (e venderla).

Quanti corsi di copywriting di questo tipo esistono? Esistono?

Quanto devo farmi pagare come copywriter freelance? (The Copylight Zone #40)

Sono più di dieci anni che faccio preventivi e nel mondo reale esiste una sola risposta a questa domanda: dipende soltanto dalla dimensione del cliente. E basta. Qualsiasi altra cosa viene detta sul tema è da parte di gente che non ha mai fatto questo lavoro.

Il compenso dipende dalla lunghezza dei testi? No, è una sciocchezza. Secondo te, il copywriter che scrive mille parole per il sito istituzionale di Coca-Cola viene pagato la stessa cifra del copywriter che scrive mille parole per il sito di una minuscola start-up? Ovviamente no.

Il che ci porta alla seconda questione. Il compenso dipende dal numero di ore di lavoro, dallo sforzo creativo, dalla complessità del progetto, dalla seniority? Sarebbe giusto ma no, non è neanche così.

Qualche anno fa mi è capitato di lavorare direttamente per Google. Un progetto facilissimo e banalissimo, una sorta di correzione di bozze. Meno di una decina di ore di lavoro in tutto. Nello stesso periodo, mi stavo occupando della strategia di comunicazione e dei testi di vari materiali per una piccola azienda di Bergamo. Un lavoro estremamente più lungo, esteso, delicato e impegnativo. E pagato dieci volte meno di quello per Google.

E’ come fare l’attore o il calciatore. Tu vieni ingaggiato per le tue capacità ed esperienze, certo, ma quanto vieni pagato dipende poi solo dalla dimensione della produzione cinematografica o del club calcistico.

Se sei un copywriter freelance, fare un preventivo significa soltanto chiedere una cifra commisurata alla grandezza del cliente. Fine. Io ho fatto brochure per 500 e per 3000 euro, studi di naming per 600 e per 5000 euro. La qualità dell’output creativo che ho fornito, dato che non uso cervelli diversi per lavori diversi, è stata la stessa per gli stessi materiali. La fatica, le ore di lavoro, le riunioni, le rilavorazioni, è tutto uguale, o anche peggio per i lavori pagati meno.

E’ giusto? No. Ma funziona così.

Due spot del Superbowl 2023. (The Copylight Zone #39)

Lo spot più atteso del Superbowl 2023 era quello di PopCorners. Ed è anche il più mediocre. Diretto dal regista di Breaking Bad, con gli attori di Breaking Bad e le battute (riadattate) di Breaking Bad.

Non è mediocre nel senso di inefficace. Anzi. A tutti piace Breaking Bad e tutti sono entusiasti di rivedere per qualche secondo Walter White, Jesse Pinkman e Tuco Salamanca. Con l’impeccabile regia di Vince Gilligan. Le vendite di questo snack si saranno impennate.

Però resta mediocre dal punto di vista creativo. Qual è l’apporto dell’agenzia? L’ideina che lo snack sia come una droga. Fine. Per il resto, la forza dello spot è solo nei milioni spesi per produrlo e nelle capacità di regista e attori. Sai che sforzo.

Chiunque sarebbe capace di fare uno spot figo che viva, parassitariamente, del successo di una serie famosa. Quello di un ghiacciolo ambientato nel mondo di Game of Thrones, con gli interpreti di Game of Thrones e le battute di Game of Thrones ve lo scriverei in un minuto.

Il difficile, anche avendo milioni di budget e grandi testimonial, è invece ideare uno spot originale e intelligente che si regga sulle proprie gambe, dove le citazioni siano solo un contorno e non tutto il commercial.

Come, ad esempio, questo:

Il mercato editoriale: due o tre cose che, da copywriter, ho capito. (The Copylight Zone #38)

Nella ricerca di un editore per il mio romanzo, sto approfondendo la conoscenza di questo mercato come farei per un lavoro da copywriter. La sua peculiarità è che ha due target completamente diversi. I grandi editori guadagnano vendendo libri ai lettori, i piccoli vendendo servizi agli aspiranti scrittori.

C’è l’editoria a pagamento vera e propria, in cui dai tu dei soldi all’editore per farti pubblicare un libro. In quel caso il business finisce lì, non c’è nessun interesse a distribuirlo – con costi molti alti – nelle librerie: il guadagno per gli editori è la differenza tra le basse spese per stamparlo e quelle più alte pagate dagli autori.

Ma c’è anche una foltissima micro-editoria che non ti chiede soldi per pubblicare. Semplicemente stampa pochissime copie del tuo libro, meno di un centinaio, confidando nel fatto che fra i tuoi parenti, amici e conoscenti almeno quelle poche decine di copie – tipo durante la presentazione – si riusciranno a vendere. E anche in questo caso il business finisce lì. Magari sul singolo libro l’editore guadagna solo 500 o 1000 euro in tutto, ma se pubblica almeno 10 o 20 libri al mese, il fatturato sarà sufficiente a tenere in piedi l’attività.

Le agenzie letterarie, in teoria, dovrebbero guadagnare grazie alle royalty sulle copie pubblicate e vendute dai loro autori. Nella pratica, campano vendendo schede di valutazione e altri “servizi editoriali” agli aspiranti scrittori a varie centinaia di euro. Così come un numero sempre crescente di service editoriali, editor freelance, “esperti” che propongono “botteghe” e corsi editoriali: il modello è sempre lo stesso dell’editoria a pagamento, farsi dare soldi dagli aspiranti autori.

I concorsi letterari, tranne un paio, sono quasi tutti organizzati dalle piccole case editrici che ho menzionato, per cooptare più autori a cui proporre la micro-pubblicazione come “premio”.

Restano infine le pochissime grandi case editrici italiane (10 o 15 a dir tanto) il cui modello di business è davvero vendere libri ai lettori e basta. In quel caso, però, servono investimenti sicuri, quindi pubblicare testi di persone che abbiano già un pubblico di lettori/fan assicurato: scrittori italiani già affermati, scrittori stranieri famosi, giornalisti, politici, vip, influencer…

La strada più accessibile per un esordiente è, in realtà, il self-publishing. Che oggi, specie con Amazon, è sempre più evoluto. Però richiede investimenti promozionali, eventuali collaboratori (per copertina, editing, correzione bozze, impaginazione dell’ebook…) e capacità imprenditoriali non indifferenti, per emergere sulla concorrenza.

L’opzione finale è prendere i tuoi racconti, poesie o romanzo e schiaffarli su Wattpad, un blog o un altro spazio gratuito online. Zero spese, attese, stress e difficoltà. Invece di un libro, ai tuoi amici e conoscenti poi darai un link. Certo, così non ci guadagnerai nulla, ma tanto oggi ci si guadagna poco o nulla anche negli altri casi. Se non altro, di soldi non ne perderai.

Quasi quasi…

Copywriting scientifico? (The Copylight Zone #37)

Negli ultimi tempi imperversano i fuffaroli che propinano l’idea di un copywriting “infallibile” e “scientifico” che garantirebbe vendite e successo al 100%.

Chiunque dotato di buon senso capisce che una cosa del genere non esiste né esisterà mai, altrimenti tutte le aziende la userebbero – come appunto tutti usano gli standard scientifici di altri ambiti – e avrebbero tutte successo, nessuna esclusa.

Invece la realtà è che un’azienda può avere anche materiali di comunicazione efficaci e ben fatti, ma vendere poco e fallire lo stesso. Prodotti e servizi possono essere mediocri e non richiesti a prescindere, mentre le persone e le loro scelte di consumo restano in gran parte irrazionali.

Un copywriter che ti promette “ROI assicurato al 100%” è solo un cialtrone. Quello onesto semplicemente ti assicurerà un buon lavoro al meglio delle sue capacità, senza le sparate da call center di investimenti nelle opzioni binarie.

Un libro per copywriter: “Semiotica della pubblicità”. (The Copylight Zone #36)

Il libro più utile sul copywriting l’ho letto quasi vent’anni fa all’università, quando non avevo ancora il progetto di fare il copywriter e anzi avevo solo una vaghissima idea di cosa fosse questa professione, limitata a “il lavoro che fa Jerry Calà nel film Yuppies”.

Il libro era “Semiotica della pubblicità” di Ugo Volli e, appunto, l’avevo studiato per l’esame di Semiotica della pubblicità. In estrema sintesi, spiega come analizzare un messaggio pubblicitario, “smontando” i suoi elementi e mettendo in luce che cosa e come comunica al suo fruitore, che effetti mira a ottenere, tra i quali “convincerti a comprare della roba” è solo uno e spesso non il principale.

Altri testi utili in questo senso, ovviamente, erano gli altri manuali di semiotica che studiavo in quel periodo, in particolare quelli di Umberto Eco e Gianfranco Marrone.

Nell’affrontare qualsiasi progetto di comunicazione, sia il primo giorno di stage in una minuscola agenzia pubblicitaria nel 2006 sia l’altro ieri, ho sempre usato questo metodo: mi viene un’idea (o devo discutere un’idea altrui); rifletto se ha senso rispetto a questi strumenti analitici; se ce l’ha è buona, se non ce l’ha è da scartare o da modificare finché non regge l’analisi.

Credo sia lo stesso procedimento che, nel cinema, usano tutti i registi che prima sono stati critici cinematografici, da quelli della Nouvelle Vague a Dario Argento, Peter Bogdanovich e Joe Dante.

Tra l’altro il manuale di Volli, e altri ancora più vecchi, sono libri scritti diverso tempo prima l’avvento dei social network e della comunicazione digitale di oggi ma, che si tratti di fare il titolo di un annuncio stampa o un post su Instagram, non cambia assolutamente nulla rispetto alla validità del procedimento.