Blablabla. (The Copylight Zone #93)

Per un copywriter le capacità relazionali sono più importanti di quelle creative, di scrittura?

Per un romanziere o uno sceneggiatore, sicuramente no. Per un giornalista, dipende: il declino della carta stampata e dei testi scritti in generale, a favore dei contenuti video sui social e in tv, in molti casi favorisce chi è più abile davanti a una telecamera, che a una tastiera.

Nel copywriting, oggi, temo che la risposta sia affermativa: conta molto di più essere un bravo PR, che un bravo scrittore. Non penso che fosse così in passato; finché la singola opera pubblicitaria – la campagna stampa, lo spot tv – aveva una rilevanza, anche la capacità autoriale di crearla ne aveva una.

Oggi non è più così. La comunicazione pubblicitaria si è frammentata nella multimedialità e il singolo ad, il singolo video, sono soltanto piccoli anelli di un’interminabile catena, del buzz incessante che richiede la continua generazione di contenuti, nessuno dei quali (tranne rare eccezioni) assume il rilievo che poteva avere uno spot fino agli anni ’90 o un annuncio stampa fino a qualche decennio prima.

Così, oggi, un copywriter incapace di scrivere un titolo o un script brillanti, ma molto bravo nel blablabla – coi colleghi, i superiori, i clienti, i consumatori – credo abbia molte più possibilità di successo di quello interessato solo alla scrittura.

Un po’ come, per i politici, non sono più importanti le parole alla base dei loro discorsi, i grandi slogan e gli storici interventi pubblici come accadeva un tempo, ma la loro capacità performativa di mantenere con gli elettori una relazione quotidiana attraverso chiacchiere insignificanti.

La scrittura, peraltro, è sempre più svilita e assediata da policy, algoritmi, AI, semplificazioni, insofferenze e costrizioni di ogni genere. Le chiacchiere a voce invece sono sempre più apprezzate. Quindi forse oggi è meglio fare un corso di public speaking, piuttosto che di copywriting, se vuoi iniziare una brillante carriera da copy.

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