Come si diventa copywriter? (The Copylight Zone #1)

Succede quando capisci che, come scrittore, probabilmente saresti un fallimento. E come copywriter (freelance)?

Non voglio tediarvi con i consigli del piccolo guru (sempre autoproclamato) del copywriting che trovate in decine di articoli simili: amore per la scrittura, curiosità per la vita, lettura di tutti i manuali compresi quelli in uzbeco, iscrizione al partito nazigrammar, eccetera. Preferisco esporre una considerazione semplice e abbastanza banale, ma che per me ha fatto LA differenza nel capire che questa era la mia strada. E, come recita Jack Burton in Grosso guaio a Chinatown, “ragazzi con questo non voglio dire che sono un uomo di mondo e che l̶a̶ ̶v̶i̶t̶a il copywriting per me non ha più segreti”. Anzi.

Solita vecchia storia: fin da piccolo mi è sempre piaciuto scrivere. E alle medie ero quel ragazzino, quello che con regolarità viene messo in imbarazzo dalla lettura in classe dei suoi temi. Giusto perché i professori di italiano ci tengono, se notano uno che mette le parole in fila un po’ meglio dei suoi compagni, ad aumentare l’antipatia e la diffidenza di questi ultimi nei suoi confronti. Anche se, proprio con le parole, poi un certo rispetto dagli altri riesci sempre a strapparlo (e questo è il vero motivo per cui leggere i libri serve, al di là di quisquilie come capire il mondo e farsi una cultura).

Nel mio presunto talento di scrittore, comunque, notai presto una caratteristica. Se avete visto I quattrocento colpi di François Truffaut, avrete presente la scena dove il piccolo Antoine Doinel, in un tema scolastico, riscrive la pagina di un romanzo di Balzac e viene accusato di plagio e punito dal professore. Io di sana pianta non ho mai copiato, però mi riusciva molto facile mimare qualunque stile di scrittura di ogni autore che leggevo.

Di ricercare uno stile personale poco mi importava, dato che mi divertivo molto di più a produrre brani e racconti che, pur avendo magari idee e contenuti originali, nella forma ricalcavano sempre con precisione i miei scrittori preferiti. Per certi versi, è lo stesso tipo di “piacere imitativo” della scrittura che trovano migliaia di autori di fanfiction in tutto il mondo.

Ai tempi, non sapevo cosa fosse il mestiere del copywriter e questa capacità camaleontica mi sembrava abbastanza inutile: a che serve saper riprodurre gli stili di scrittura altrui? Avessi avuto la medesima dote come pittore, al massimo avrei potuto fare il falsario. Invece, quando scoprii le professioni della pubblicità e del copywriting in particolare, capii subito che c’era un modo per sfruttare questa abilità per guadagnarsi da vivere (addirittura) in modo legale.

Infatti, che si tratti dello script di uno spot tv o radio, del titolo di un annuncio stampa, dei testi di una brochure, blog o sito, nella comunicazione pubblicitaria alla base c’è sempre la capacità di adattare lo stile di scrittura (tono di voce, in gergo tecnico) al brand, al prodotto, alle richieste del brief, ai diversi materiali da produrre e alle peculiarità dei media su cui diffonderli.

Al contrario di un romanziere, che ha una personalità ben definita e riconoscibile, un copywriter che sa scrivere in un solo modo non va da nessuna parte: dev’essere invece come gli Uomini senza volto di Game of Thrones, pronto ad assumere identità differenti anche nel corso della stessa giornata, a seconda dei lavori in programma (che per un copywriter freelance, in particolare, possono essere davvero variegati).

Di base quindi, almeno a mio parere, per fare il copywriter bisogna avere questa predisposizione, anche psicologica: nessuno, a parte qualche collega e addetto ai lavori, saprà mai che sei proprio tu l’autore di quello slogan, spot o titolo che conoscono tutti.

Tutto il resto, facendo molta esperienza e moltissimi errori, si impara.

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