Post veloce del weekend. Di recente, parlando con un vecchio amico, mi è stata fatta questa osservazione sul mio status di copywriter freelance.
Credo sia un retropensiero comune a molti lavoratori dipendenti, copywriter o meno: essere freelance come scelta in qualche modo “di comodo”, “da privilegiati”, “perché non sai adattarti a un contesto aziendale”, eccetera.
Amico/i, è l’esatto opposto. A parte che, con la legislazione del lavoro e la tassazione italiane, i lavoratori con P.IVA sono i meno privilegiati di tutti, privi delle basilari tutele che hanno i dipendenti, per smontare questo atteggiamento bisogna proprio partire dai concetti base di società e di lavoro.
Senza annoiarvi con citazione di pensatori e filosofi, è evidente che anche il più primitivo contratto sociale, nella storia dell’uomo, prevedeva che ognuno dei membri del gruppo sviluppasse e mettesse in pratica capacità utili a quest’ultimo: chi sapeva cacciare, chi coltivare, chi costruire i ripari, chi difendere la tribù,…
Millenni dopo, questa è ancora la definizione concreta di lavoro: le abilità specifiche che, in base alle tue possibilità e inclinazioni, hai sviluppato nei primi anni di vita – durante i quali la tua società ti permette, o dovrebbe permetterti, di vivere senza lavorare per affinarle – e poi tu metti in pratica per consentire il funzionamento e lo sviluppo di quella società.
Ne consegue che, in questo senso, TUTTI siamo lavoratori autonomi o almeno dovremmo pensare come tali, perché si tratta in ogni caso di mettere le nostre capacità individuali al servizio di qualcuno a cui servono e, in cambio, ci garantisce un compenso.
E quando gli non servono più? È su questo che un lavoratore autonomo sviluppa maggiore consapevolezza, perché sa benissimo che domani otterrà un nuovo incarico da un nuovo cliente se, e soltanto se, oggi ha approfondito e migliorato le sue competenze, affinché rimangano sempre attraenti per la società, il mercato, il mondo del lavoro qui e ora.
Per un dipendente assunto a tempo indeterminato, invece, è facile cedere alla routine e cullarsi nell’illusione che i servigi che rende oggi alla sua azienda saranno necessari a quest’ultima, tali e quali, nei 10, 20, 30 anni a venire. Sappiamo tutti che così non è, come in realtà non lo è mai stato e mai lo sarà. Se tutto intorno a noi progredisce, dai trasporti ai media, dai computer alle padelle, è assurdo pensare che proprio le nostre capacità lavorative possano rimanere immutabili. Per un copywriter freelance ad esempio, pensando solo all’evoluzione del web negli ultimi 10-15 anni, espandere le proprie conoscenze professionali è stata e continua a essere proprio questione di vita o di morte (di fame).
Parlando infatti del settore pubblicitario, un creativo che lavora in agenzia, specie se quest’ultima è molto grande, per motivi di organizzazione spesso viene assegnato agli stessi clienti e agli stessi progetti, magari anche per anni. La “specializzazione” in questo caso diventa del tutto negativa, perché se venisse licenziato poi si troverebbe spaesato di fronte a brand e richieste differenti.
Il vantaggio di essere un (copywriter) freelance, in questo senso, è proprio nella capacità di adattarsi a TUTTI i contesti, aziendali e non, ampliando ogni giorno la propria sfera di collaborazioni, con attività di ogni genere nei più disparati settori merceologici. Se invece siete freelance e collaborate fissi solo con una o due agenzie/aziende, per tutto quanto scritto sopra, si tratta di una pessima idea.
Per concludere, fare il (copywriter) freelance è una scelta che non rappresenta né un privilegio né una condanna. Ragionare da freelance, invece, è una necessità. Per tutti i lavoratori, anche e soprattutto i dipendenti (come, del resto, sono stato anch’io per anni).